I risultati emersi da due Studi condotti dai ricercatori dell’Ospedale “SS Antonio e Biagio e C. Arrigo” di Alessandria sui pazienti risultati positivi al SARS-CoV-2 e ospedalizzati.
Più del 60% dei pazienti arruolati hanno subito alterazioni del sistema immunitario con una produzione di autoanticorpi. Il follow up a 3 e 6 mesi dalla diagnosi di SARS-CoV-2 dei pazienti arruolati nello studio ha evidenziato il persistere delle alterazioni del sistema autoimmune e in un paziente l’insorgenza di una malattia autoimmune.
L’infezione da SARS-Cov-2 può danneggiare in modo irreparabile l’organismo umano, può alterare il funzionamento del sistema immunitario, che prima era sano, e portare, nel medio e lungo periodo, anche allo sviluppo di patologie correlate al danno immunologico, come una malattia autoimmune. Nel Laboratorio di Autoimmunologia dell’ospedale “SS Antonio e Biagio e C. Arrigo” di Alessandria sono stati condotti due Studi, il primo osservazionale retrospettivo dal titolo “Valutazione del profilo autoimmunologico in pazienti affetti da Covid-19 ospedalizzati” che ha avuto come obiettivo la valutazione dell'assetto autoimmune di pazienti Covid-19 positivi, e il secondo, osservazionale prospettico, dal titolo “Follow-up dell’assetto autoimmune in pazienti affetti da SARS-CoV-2”, che dati preliminari in corso di valutazione hanno dimostrato il persistere della presenza di autoanticorpi e in un paziente l'insorgenza di una malattia autoimmune.
Gli studi sono stati condotti dalla Dottoressa Maria Cristina Sacchi, biologa responsabile del Laboratorio di Autoimmunologia, e della Dottoressa Stefania Tamiazzo, biologa del Laboratorio di Autoimmunologia che fa parte del Laboratorio Analisi diretto dal dottor Roberto Guaschino, in collaborazione con la Reumatologia diretta dal Dottor Paolo Stobbione e con i medici della Medicina intensiva Ramona Bonometti e Cristiano Lauritano.
I due Studi verranno presentati martedì 17 novembre, alle ore 18, durante il webinar organizzato sulla pittaforma Zoom da AAPRA Onlus, GILS, AMNAR e AISF e promosso dal Gruppo Les e Amar Piemonte (per partecipare all’evento, basterà richiedere l’iscrizione scrivendo a segreteria@aapra-onlus.it
Il primo studio, già concluso, approvato dal Comitato Etico e dall’Infrastruttura Ricerca Formazione e Innovazione dell'ospedale (IRFI), presieduto dal dottor Antonio Maconi e in corso di pubblicazione su una rivista internazionale, ha visto l’arruolamento di 40 pazienti che sono risultati positivi al tampone naso-faringeo per SARS-Cov-2 e che sono stati tutti ospedalizzati con sintomatologia severa.
I risultati hanno messo in evidenza che più del 60% dei pazienti avevano una variazione dell'assetto autoimmune, hanno cioè subito alterazioni del sistema immunitario a causa
dell’infezione DA SARS-CoV-2, e che, dato ancora più interessante, i pazienti con una forte positività ai test di autoimmunità, quindi con una forte produzione di autoanticorpi, hanno avuto una prognosi sfavorevole con un decorso clinico della malattia peggiore.
«Abbiamo riscontrato un’alta percentuale di pazienti che prima d’ora non avevano una storia pregressa di autoimmunità ma nei quali l’infezione da SARS-Cov-2 ha sviluppato una positività a degli autoanticorpi che sono quelli che caratterizzano le malattie autoimmuni – spiega la Dottoressa Cristina Sacchi -. Quindi sembra esistere tra SARS-Cov-2 e l’autoimmunità un legame molto stretto. Ora cerchiamo di capire quali autoanticorpi sono maggiormente espressi e come possono essere correlati ad una prognosi peggiore».
Sulla base dei risultati ottenuti, i ricercatori stanno conducendo un studio di follow-up a 3-6 mesi dell'assetto autoimmune di pazienti Covid positivi, per capire se le alterazioni del sistema autoimmune, che si sono verificate durante l’infezione, persistono quando si risolve l’evento infettivo virale e se possono dare origine ad una patologia autoimmune. Nello studio sono stati arruolati 14 pazienti, coinvolti nella prima fase, e ha già dato risultati preliminari importanti: un paziente che era negativo ha sviluppato degli autoanticorpi nel corso dei mesi, una grande percentuale di pazienti continua a presentare autoanticorpi dopo la negativizzazione al tampone nasofaringeo per SARS-CoV-2, un paziente ha sviluppato una vera e propria malattia autoimmune, un altro mostra autoanticorpi specifici per una particolare malattia autoimmune, la miosite, che clinicamente non si è ancora manifestata ma solo il monitoraggio nel tempo potrà confermarlo.
«Grazie alla struttura “Ricerca, Formazione e Innovazione” dell'azienda ospedaliera, abbiamo iniziato questo percorso che ad oggi ci ha permesso di accertare un aggravamento in pazienti positivi che già avevano una produzione di autoanticorpi con un peggioramento del quadro clinico, ma anche l'insorgere di una vera patologia autoimmune in chi non l'aveva mai manifestata – spiega il dottor Paolo Stobbione –. In alcuni pazienti abbiamo anche riscontrato che le alterazioni autoimmuni permangono anche quando il tampone è negativo».
«Ricordo che le malattie autoimmuni, che affliggono dal 5 all’11% della popolazione includendo pazienti di tutte le età, sono quelle malattie caratterizzate da un funzionamento difettivo del sistema immunitario che produce delle riposte anomale quali la produzione di autoanticorpi - prosegue la dottoressa Sacchi -. In altre parole, persone con una malattia autoimmune hanno un sistema immunitario che riconosce come estraneo “non self” non solo batteri, virus e cellule tumorali ma non riconosce come “self” le proprie componenti andando a produrre anticorpi diretti contro cellule, tessuti o organi dell’organismo stesso, i cosiddetti autoanticorpi, provocando così un’infiammazione che porta alla malattia autoimmune vera e propria. Purtroppo, già in una paziente che è stata rivalutata a tre mesi dalla diagnosi di Covid-19 non solo le alterazioni dell'assetto autoimmune erano presenti, ma hanno sviluppato una malattia reumatologica autoimmune, il lupus eritematoso sistemico che possiamo dire effettivamente Covid-19 trigger».
Questo studio apre nuovi scenari anche da un punto di vista della cura farmacologica. «Ci permette di capire – conclude Sacchi – se i farmaci che vengono utilizzati per trattare le malattie autoimmuni potrebbero essere utili anche per trattare il Covid-19»
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