Storie e battaglie per diventare mamme quando si convive con
malattie reumatiche autoimmuni. «Solo il dialogo tra paziente e medico e una
rete solida di specialisti determinano la buona riuscita di un percorso
complesso».
«Dottoressa non so come dirglielo ma è successo».
Lisa aveva appena scoperto di essere incinta. Le tremava la
voce, le sudavano le mani. Il suo cuore batteva forte. Da una parte la gioia di
diventare mamma, dall’altra la grande paura per una gravidanza ad alto rischio,
perché Lisa ha il Lupus eritematoso sistemico, una malattia cronica autoimmune
che colpisce il sistema immunitario dell’organismo causando, per un effetto di
eccessiva autodifesa del corpo dalla malattia, infiammazione e danni importanti
a tessuti e organi.
Dall’altra parte della cornetta c’era la dottoressa Tiziana
Bertero, immunologa. Per anni ha lavorato all’ospedale Mauriziano di Torino
occupandosi proprio di gravidanze in pazienti con malattie reumatiche
autoimmuni e oggi collabora con Aapra Onlus, l’associazione ammalati pazienti
reumatici autoimmuni di Torino che ha iniziato un percorso di sensibilizzazione
e di informazione dedicato alle donne su diverse tematiche come appunto la
gravidanza.
«Ricordo quella telefonata, è stata come un fulmine a ciel
sereno» racconta oggi la dottoressa Bertero. «Non credevo alle mie orecchie.
Ero molto preoccupata».
Lisa, infatti, era sotto terapia con micofenolato, un
farmaco immunosoppressore noto per non essere compatibile con la gravidanza.
«Da quel momento è partito un grande gioco di squadra tra noi specialisti, la
paziente e i suoi famigliari - prosegue Bertero -. Da una nostra attenta
documentazione è emerso che nelle primissime settimane di gestazione questo
farmaco non è pericoloso. L’abbiamo subito sospeso e abbiamo cambiato la
terapia. Indubbiamente ho seguito questa gravidanza con moltissima apprensione,
ma per fortuna è andato tutto bene. Tutto si è risolto per il meglio». Oggi
Lisa è una mamma felice e meravigliosa.
«Ma non dimentichiamo che per queste pazienti l’inizio della
gravidanza è un percorso stressante e impegnativo. Noi specialisti ce la
mettiamo tutta per cercare di programmarla e di controllarla strada facendo, ma
ci sono comunque gli imprevisti. Ricordo che in tanti anni abbiamo fatto fronte
a toxoplasmosi, gravi gestosi e pure ad un angioma del fegato (tumore benigno)
che era cresciuto così tanto durante la gravidanza che abbiamo rischiato che
“scoppiasse” durante il parto. Cerchiamo di fare le cose insieme, in équipe e
in stretta collaborazione con le pazienti».
Lisa non è l’unico caso di paziente reumatica autoimmune
diventata mamma. Ci sono donne che chiedono se e come possono affrontare una
gravidanza quando devono convivere con una malattia autoimmune sistemica.
All’ospedale Mauriziano sono una decina le “gravidanze
speciali” trattate ogni anno. Ma c’è un altro punto dolente.
«La gravidanza viene cercata sempre più tardi – ammette la
dottoressa Bertero -: oltre alle giovani donne, incontriamo molte quarantenni.
L’età avanzata è sicuramente un problema per tutte e ancor più per queste
pazienti che desiderano diventare mamme».
Dottoressa Bertero, a quali rischi una paziente reumatica
autoimmune può andare incontro quando è in attesa?
«Fino a 30-35 anni fa le pazienti con lupus eritematoso
sistemico venivano assolutamente dissuase dall’avere una gravidanza, abbiamo
anche memoria di pazienti che sono state invitate a interromperla perché il
timore di complicazione sia per la mamma sia per il nascituro erano molto alte.
Oggi lo scenario è cambiato ma esiste un rischio aumentato di aborto, parto
precoce, infezioni, trombosi e gestosi rispetto alla popolazione generale».
Cosa si può fare per cercare di ridurre queste complicanze?
«Sulla base delle linee guida, prima di tutto la gravidanza
deve essere programmata nel momento in cui la malattia è inattiva e in un
momento in cui i farmaci che la paziente assume siano compatibili con la
gravidanza. Poi è necessaria una consulenza pre-concezionale».
In che cosa consiste?
«Comporta un approfondimento della diagnosi, dell’attività
di malattia, della terapia e dei danni d’organo attraverso una anamnesi e
visite ed esami immunologici generali e mirati. Se non è possibile tale
consulenza prima, gli specialisti valuteranno la paziente quando la gravidanza
è già iniziata. Gli esiti del counseling, che consigliamo vengano riferiti alla
coppia e non soltanto alla paziente, potranno dire se la gravidanza è da
rimandare (per esempio in caso di malattia attiva, soprattutto renale), se è
consentita (magari dopo aver corretto alcune terapie), oppure se è sconsigliata
laddove la situazione presenta problemi molto importanti (soprattutto a carico
di cuore e polmone)».
Cos’altro è importante sapere?
«E’ importante essere seguite da specialisti esperti in
questo ambito e che siano abituati a collaborare tra loro, innanzitutto con il
ginecologo che segue la paziente. Altra condizione fondamentale è che la
paziente si sottoponga regolarmente a visite ed esami necessari; che sia
precisa e costante nell’assumere le terapie. Infine, non dobbiamo dimenticare
che in queste pazienti ci sono anche i fattori di rischio che valgono per tutta
la popolazione, come fumo, sovrappeso, obesità ed età che sicuramente
aggiungono problematiche».
Cosa si intende per malattia inattiva?
«La remissione della malattia è per il lupus, e non solo per
questa malattia, il principale obiettivo della terapia. Per definire la
remissione ci si basa su scale di valutazione che conferiscono un punteggio più
o meno alto a seconda della gravità dei sintomi e degli esami alterati. L’altro
criterio è basarsi sul fabbisogno dei farmaci per mantenere la situazione
tranquilla. Quantificare l'attività di malattia è importante perché consente di
confrontare pazienti diversi (per esempio, in caso di studi sull’efficacia di
un farmaco) e perché fa prevedere il rischio di danni d’organo permanenti se la
malattia lupica rimane attiva più a lungo».
Sul piano dei farmaci cosa consiglia?
«Il cortisone ha radicalmente cambiato la storia e la prognosi
delle malattie reumatiche autoimmuni, ma oggi giorno, poiché conosciamo meglio
gli effetti collaterali anche sul lungo termine, si tende a usarli alle minori
dosi possibili; in gravidanza non si deve superare la dose di 7,5 milligrammi
al giorno. Per quanto riguarda i teratogeni (ciclofosfamide, micofenolato,
metotrexate, coumadin) è pericoloso cominciare la gravidanza mentre si assumono
perché possono comportare delle malformazioni. A volte, proprio per proteggere
la gravidanza prescriviamo dei farmaci in più come l’aspirina a basso dosaggio
o l’eparina».
E l’idrossiclorochina o Plaquenil di cui molto si è sentito
parlare durante la pandemia da Covid?
«E’ un antimalarico ed è l’unico farmaco a disposizione per
le malattie autoimmuni che non sia un immunosoppressore cioè non intacca le
capacità di difese dell’organismo, anzi si sta studiando da molti anni perché
avrebbe degli effetti positivi sulla difesa verso certe infezioni. Questo è il
motivo per cui durante la pandemia si è provato ad usarlo. Nelle pazienti con
Lupus viene usato per proteggerle dalla riacutizzazione della malattia e
inoltre non è un farmaco pericoloso in gravidanza e pare che riduca il rischio
di Lupus neonatale e di complicanze da anticorpi antifosfolipidi, ma questo non
è un dato ancora del tutto dimostrato, seppur si stia lavorando su questa
strada».
E per quanto riguarda gli esami immunologici di cui ha
parlato prima?
«Si tratta di anticorpi o “autoanticorpi” che hanno un
diverso significato: in alcuni casi possono essere utili per la diagnosi; altri
anticorpi sono utili per stabilire se la malattia è attiva o meno; altri hanno
un significato prognostico proprio per la gravidanza come gli SSA, SSB e gli
antifosfolipidi. A tale proposito, da alcuni anni vengono segnalate delle alterazioni
nello sviluppo neurologico di bambini nati da donne che hanno malattie
autoimmuni come il Lupus e con anticorpi antifosfolipidi, e si tratta
soprattutto disturbi di apprendimento, ma non abbiamo ancora dati precisi in
merito».
Quali sono le novità in tema di anticorpi antifosfolipidi in
Piemonte?
«Dal gruppo di esperti - laboratoristi, neurologi,
ginecologi, immonologi, ematologi, pediatri e altri specialisti ancora - che
operano all’interno del Consorzio sulla sindrome da anticorpi antifosfolipidi
del Piemonte e Valle D’Aosta nel 2014 è stato preparato un documento condiviso
per la gestione della gravidanza in pazienti con Lupus eritematoso sistemico e
con anticorpi antifosfolipidi. Questo documento è stato aggiornato recentemente
e presto verrà diffuso all'intera Regione».
Quali sono ancora gli ostacoli che incontrano le pazienti
con malattie autoimmuni che desiderano una gravidanza?
«Vorrei citare l'intervento di una importante reumatologa
americana, Megan Clowse, nel corso della conferenza internazionale su
gravidanza e malattie reumatiche tenutasi in Norvegia qualche anno fa: molte
pazienti non ne parlano con il medico curante perché non osano, oppure non c’è
tempo oppure non hanno fiducia nel medico, o hanno paura che il medico cambi la
terapia con minore controllo della malattia. Un quarto dei medici non tratta
l’argomento nemmeno se viene richiesto. Secondo Clowse, almeno una volta
all’anno bisognerebbe affrontare il discorso con i pazienti e sarebbe
importante concordare le risposte con gli altri medici dell’équipe. Per questo,
a mio avviso, è importante affrontare il problema da parte del medico, ma anche
chiedere informazioni da parte della paziente su aspetti relativi al desiderio
di avere figli sia al momento della diagnosi, sia prima di assumere terapie
particolari e sia ai fini della contraccezione. Ma c’è di più».
Cos’altro?
«Solo il 50% delle gravidanze nel Lupus sono programmate
perché le pazienti non fanno molta contraccezione e le ragioni sono diverse:
per anni si è pensato che gli estrogeni fossero dannosi per il Lupus. L’altro
timore è quello di aggiungere altri farmaci a quelli già in uso; oppure si
confonde la teratogenicità con la ridotta fertilità; c’è poi un problema di
costo, c’è l’imbarazzo nell’affrontare il problema con il medico e la
negligenza».
Quali sono timori più frequenti che manifestano, invece,
prima e dopo la gravidanza?
«Le donne chiedono se la loro malattia è trasmissibile ai
figli. La risposta è che le malattie autoimmuni sistemiche non hanno una
ereditarietà diretta (come nel caso dell’anemia mediterranea) poiché ci sono
più geni coinvolti. Altro aspetto che preoccupa è il senso di stanchezza che
una malattia come il Lupus comporta. Infatti chiedono: “Ce la posso fare con le
terapie che faccio, gli esami, le visite, la stanchezza?”. Certamente con il
post partum inizia un periodo non facile per la donna, in particolare per
queste pazienti è un aspetto da prendere ancora più sul serio, sotto ogni punto
di vista. Penso, per esempio, all’allattamento al seno: in qualche caso, se
troppo faticoso, suggeriamo di interrompere».
Infine, se ci fossero problemi di sterilità, la paziente con
malattie reumatiche autoimmuni può sottoporsi a trattamenti ormonali o a
fecondazione assistita?
«Non è preclusa a priori, ma lo è nel momento in cui la
malattia è attiva; la presenza di anticorpi antifosfolipidi (che vanno
indagati) può comportare gravi complicazioni durante la stimolazione
ormonale».
A cura di Liliana Carbone